UNIVERSITA'
DEGLI STUDI DI URBINO FACOLTA'
DI GIURISPRUDENZA IL FACTORING E LA CESSIONE DEI CREDITI D’IMPRESA Capitolo Quarto
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4.1. Le conseguenze delle diverse
qualificazioni giuridiche del rapporto. - 4.2 La convenzione
come mandato “in rem propriam”. - 4.3 Il
fallimento del fornitore cedente. - 4.4 L’esercizio dell’azione
revocatoria nei confronti delle cessioni opponibili al fallimento. - 4.5
La crisi economica del cessionario - 4.6 Il fallimento del debitore
ceduto.
Il contratto di factoring
permette di trasferire a un’impresa specializzata, la contabilizzazione, la
riscossione e la gestione in genere, della globalità dei crediti a breve,
realizzando in questo modo una funzione di decentramento complessivo di un’intero settore dell’impresa cedente e anche una
funzione finanziaria, la cui esecuzione è rimessa però alla discrezione del factor. (334) Alcuni
autori considerano l’intera operazione come un contratto definitivo ed
unitario (335), mentre al riguardo altre opinioni
individuano nella convenzione iniziale, un preliminare unilaterale (336) o un contratto normativo. (337) Secondo
ulteriori punti di vista, la sottoscrizione delle condizioni generali può
concretizzare un contratto normativo e preliminare insieme (338)
o un negozio in parte definitivo e in parte preliminare, comunque nettamente
distinto dalle singole cessioni dei crediti. (339) In ogni
modo è difficile contestare che la conclusione dell’accordo, nel suo schema
minimale, permette al factor di diventare titolare
della globalità dei crediti ceduti, di poterli riscuotere e di restituire il
ricavato all’impresa cedente, dopo la deduzione di una commissione per i
servizi resi. (340) Le
singole cessioni dei crediti si inseriscono nell’operazione a scopo
strumentale e sembrano attuate più a causa di mandato, che a causa di
vendita, poiché l’impresa cede i crediti al factor,
non per trasferirgli le utilità economiche garantite al creditore, ma per
attribuirgli uno strumento giuridico, che consenta di riscuotere e tutelare i
diritti ceduti. (341) Le
caratteristiche dell’attività gestoria affidata
all’impresa specializzata, permettono di definire la convenzione come un
“mandato sui generis”, abbastanza simile allo schema voluto dal legislatore,
per consentire che la disciplina tipica gli sia estesa per quanto possibile
per analogia, mentre al collegato rapporto di finanziamento saranno
applicabili le disposizioni sui contratti di finanziamento più vicine e
similari. (342) Questa
ricostruzione del contratto di base, come un conferimento al mandatario
dell’incarico di compiere per conto del cliente, gli atti giuridici di
disposizione di beni o diritti del mandante stesso, non realizza senz’altro
un’indisponibilità reale, poichè questa figura
negoziale non ha efficacia traslativa diretta e non è adatta a separare il
bene oggetto del contratto dal patrimonio del mandante. (343)
Però la
definizione del factoring in termini di mandato, non esclude la possibilità
che i contraenti possano decidere di trasferire il credito contestualmente
oppure in via successiva, per realizzare l’esecuzione dell’incarico e che
anzi, tale trasferimento trovi giustificazione in questa struttura negoziale.(344) La considerazione del factoring
nello schema causale del mandato comporta lo scioglimento del contratto ex
art. 78 della legge fall., così come ritenuto da
alcune sentenze del Tribunale di Genova e di quello di Brescia.
(345) Tuttavia sotto il profilo
strutturale, il factoring si scompone in due momenti diversi: il contratto da
cui nasce il rapporto e le successive cessioni di credito, che in definitiva
ne costituiscono la fase attuativa. (347) La
convenzione si può presentare sotto la duplice forma del contratto-quadro, a
cui si ricollegano in via d’esecuzione i successivi episodi negoziali di
cessione, ovvero come cessione globale di crediti presenti e futuri. (348) Nella
prima di queste ipotesi, il contratto-quadro, considerato nella suo carattere
preparatorio rispetto alle cessioni e nella sua rilevanza giuridica solo
obbligatoria e non traslativa, non è sicuramente adatto ad essere
assoggettato alla revocatoria. Invece
nel caso di un’accordo di cessione globale di
crediti presenti e futuri, sebbene l’effetto della vendita reale si
realizzerà solo dopo la venuta ad esistenza dei diritti, la convenzione già
costituisce in capo al factor una situazione
giuridicamente tutelata, simile alle ipotesi di diritto sottoposto a
condizione. Ma nella
pratica del factoring italiano, il principio di globalità rimane circoscritto
e i factors si riservano un’ampio
diritto di scelta dei crediti da acquistare, analogo ad una riserva di
gradimento. Pertanto
il trasferimento dei crediti, si determina non tanto al momento della
conclusione del contratto, quanto piuttosto quando l’imprenditore
specializzato esprima il proprio gradimento. (349)
La perdita
della disponibilità di una massa di crediti da parte del cedente, per
rafforzare i poteri gestori del factor e la
frequente corresponsione di anticipazioni (e quindi la partecipazione del factor al rischio economico del cliente), hanno convinto
alcuni autori a qualificare la convenzione come un mandato in “rem propriam”(350) Inoltre
la giurisprudenza della Cassazione in materia, afferma che il mandatario in
“rem propriam” avrebbe diritto non solo a
riscuotere, ma anche a trattenere tali somme, quando l’incarico conferito si
accompagna alla cessione dei crediti affidati per la riscossione. (352) Però tale
diritto è stato riconosciuto subordinatamente al rigoroso accertamento di
fatto e di competenza del giudice di merito, dell’esistenza di una cessione
produttiva di un’effetto traslativo prima del
fallimento. (353) Lo scioglimento
della convenzione a seguito del fallimento del cedente, obbligherebbe il factor a retrocedere al fallimento i crediti acquisiti,
proprio come dovrebbe fare ogni mandatario rispetto ai mezzi ricevuti dal
mandante per l’esecuzione dell’incarico (1719 c.c.), rimanendo al factor il diritto alla prededuzione
delle proprie commissioni e delle anticipazioni di spesa effettuate (1721
c.c.). Lo scioglimento
del rapporto potrebbe escludersi, quando si individuasse un’interesse
giuridicamente precisato del mandatario, poiché la giurisprudenza ha più
volte affermato la sopravvivenza del mandato in “rem propriam”
al fallimento del mandante (1723,2° comma c.c.) e tale utilità potrebbe
scorgersi nell’ipotesi di un collegamento funzionale, tra il mandato ed un
negozio creditizio, vale a dire all’erogazione anticipata sui crediti
all’incasso. In particolare
quest’interesse del mandatario dovrebbe essere qualificato giuridicamente,
derivando da un rapporto obbligatorio tra i contraenti,che
sia precedente o contestuale al negozio stesso. Alcuni autori
hanno però sostenuto che tale utilità del mandatario, potrebbe manifestarsi
in qualunque forma, anche successivamente alla conclusione del mandato, purchè il negozio sia voluto dalle parti anche per la sua
realizzazione. In generale gli
effetti di questa particolare qualifica giuridica, non muterebbero sostanzialmente
la situazione, poiché il factor potrebbe prededure le proprie spettanze dalla retrocessione del
credito al fallimento, ma riceverebbe il rimborso in moneta fallimentare, non
potendo operare la compensazione di cui all’art. 56 della l. fall. Infatti in caso
di fallimento non sarebbe possibile la compensazione tra le parti, perchè verrebbe impedita dalla mancanza della
contemporanea preesistenza alla sentenza dichiarativa, del credito del factor per le anticipazioni effettuate prima del fallimento
e del suo debito di restituzione delle somme da riscosse che invece sorge
successivamente. L’acquisizione
al factor delle somme riscosse, in base al
meccanismo di accreditamento sul conto intrattenuto con il fornitore e della
detrazione del credito per anticipazioni già annotato, è esclusa ex art. 44
l. fall., che toglie efficacia al pagamento del
terzo debitore ceduto, ricevuto dal factor non per
proprio conto, ma per quello del fornitore fallito, essendo ormai tali somme
di spettanza del patrimonio della massa. (354) In sostanza nel tipo di
factoring del quale è possibile escludere una connotazione di vendita di
crediti, si può ammettere l’insinuazione del factor
nella massa fallimentare, non potendo il cessionario trattenere e
conseguentemente detrarre dal proprio credito per anticipazioni, le somme
eventualmente riscosse dai debitori ceduti dopo il fallimento.
Il
principio dello scioglimento automatico è stato usato in tutti quei casi in
cui il legislatore ha stabilito che il rapporto non possa sopravvivere al
fallimento, con la sostituzione del curatore nella posizione contrattuale del
fallito, per l’incompatibilità dell’oggetto del rapporto con la procedura
concorsuale. (355) In
questo caso i debiti e i crediti reciproci dei contraenti restano fermi alla
data di dichiarazione del fallimento e i residui debiti del contraente vanno
soddisfatti nei confronti dell’ufficio fallimentare, mentre i suoi rimanenti
crediti sono assoggettati alle regole del concorso, a parte la compensazione
in applicazione dell’art. 56 della l. fallimentare. (356)
Il criterio opposto della
prosecuzione dei rapporti nei confronti dell’ufficio concorsuale è seguito
nei casi in cui la normale evoluzione dei legami negoziali può restare
indifferente al sopravvenuto fallimento. In tali
ipotesi, la relazione contrattuale farà capo alla curatela, perché
rispondente alle esigenze dell’amministrazione del patrimonio del fallito, e
sarà finalizzata alla liquidazione concorsuale (357),
ma i crediti inferiori del contraente potranno divenire prededucibili. (358) Un terzo
criterio intermedio a cui il legislatore è ricorso quando ha inteso lasciare
spazio alle determinazioni delle parti, consiste nel determinare un regime
misto, caratterizzato dal potere dell’ufficio fallimentare di scegliere tra
lo scioglimento e la prosecuzione. (359) Il
factoring inteso come un contratto-quadro è sicuramente pendente alla data
della dichiarazione di fallimento del cedente e se nel negozio si considera
prevalente l’aspetto di cooperazione gestoria, la
convenzione si scioglie per effetto della relativa sentenza dichiarativa, con
l’applicazione l’art. 78 della legge fallimentare. (360) Infatti
il rapporto presuppone lo svolgimento di una particolare attività imprenditoriale
che non è compatibile con l’interruzione dell’attività dell’insolvente, come
immediata conseguenza della dichiarazione di fallimento, anche se l’art. 90
della l. fallimentare, prevede che il Tribunale possa disporre la
continuazione temporanea dell’esercizio dell’impresa. (361)
Invece
La Corte d’Appello di Genova, con sentenza 19 marzo 1993 n. 209, ha affermato
che la constatazione dell’avvenuto scioglimento del factoring, non è decisiva
ai fini della sorte dei crediti ceduti e che la risoluzione del problema,
dipende dalla diversa collocazione temporale dell’effetto traslativo del
credito, rispetto alla sentenza dichiarativa del fallimento, che appunto è il
momento di definizione della situazione patrimoniale del fallito. (362) Tuttavia
la pronuncia ha anche escluso partendo da altri presupposti, la possibilità
di modificazioni successive alla situazione patrimoniale del fallito,
dipendenti da ulteriori sviluppi della convenzione e quindi ha finito per
giungere allo stesso risultato dello scioglimento del contratto, susseguente
al fallimento del cliente-cedente. Dunque
la conclusione di altre cessioni, non potrà essere pretesa in esecuzione del
rapporto di factoring dal cessionario nei confronti del fallimento, ma
nemmeno da parte del curatore verso l’impresa specializzata. Ciò non
esclude che il curatore, nel corso del fallimento possa procedere alla
definizione delle cessioni di credito, ma tale attività sarà differente dal
factoring come rapporto tra imprenditori, che ha ad oggetto crediti sorti
nell’esercizio dell’impresa, perché diventerà solamente un’attività
liquidatoria dell’ufficio concorsuale. In
genere nel factoring praticato in Italia, i crediti escono dal patrimonio del
fallito, non in forza del contratto considerato isolatamente rispetto alle
cessioni di credito, ma in base ai singoli trasferimenti che del negozio
costituiscono esecuzione. Questo
accade sia nell’ipotesi di distinzione formale e temporale tra
contratto-quadro e cessioni successive, sia nel caso di una massa d’atti dispositivi,
in un unico contesto di cessione globale dei crediti, posti in essere con
un’unica manifestazione di volontà, ma aventi una pluralità di oggetti
distinti nell’insieme dei crediti ceduti. Sostenendo
la natura di mandato, dallo scioglimento automatico del rapporto deriva che
tutte le somme incassate dal factor successivamente
alla dichiarazione del fallimento sono state incassate per conto del fallito
e devono quindi essere riversate al fallimento, anche se la legittimazione al
factor per l’incasso deriva da un’attività
negoziale precedente (363). La
soluzione rimane valida, dove si configuri il factoring come mandato in “rem propriam”, che secondo la giurisprudenza non si scioglie
automaticamente, ma pur lasciando sopravvivere la legittimazione ad
incassare, non dispensa il mandatario dal rimettere al fallimento le somme
incassate (364). Tuttavia
per le cessioni non ancora perfezionate, per la mancata accettazione
dell’offerta da parte del factor, lo scioglimento
del contratto comporta il decadere dell’offerta e il ripristino della
situazione antecedente. Circa
l’opponibilità di singole cessioni di credito già perfezionate, in
giurisprudenza si afferma costantemente la necessità che vengano compiute le
formalità prescritte dall’art. 1265 c.c. e richiamate nell’art. 45 della l. fall. Inoltre
è stata suggerita un’interpretazione estensiva, che tenga conto delle
caratteristiche dell’operazione e stimi sufficiente la notizia della
cessione, comunque pervenuta per iscritto al debitore ceduto. (365) Ad
integrazione di quanto disposto dagli artt. 1265 e 2914 c.c. e dell’art. 45
l. fall., bisogna ricordare che la legge n. 52/1991
ha aggiunto ai mezzi per rendere opponibile la cessione ai terzi e quindi
anche al fallimento del cedente, un nuovo sistema rappresentato dal pagamento
del corrispettivo della cessione, anche parziale purchè
avente data certa (366). Pertanto
dove le cessioni di credito non risultino notificate, a mezzo ufficiale
giudiziario (Cass., 19 ottobre 1962, n. 3041, in
Banca borsa e tit., 1963, II, p. 21) o
accettate dal debitore ceduto con atto avente data certa anteriore al
fallimento, oppure dove non ricorra il nuovo criterio di opponibilità
previsto dall’art. 5 della legge n. 52/1991, allora le cessioni non saranno
opponibili alla curatela e le relative riscossioni operate dal factor successivamente al fallimento, dovranno essere
restituite alla massa. (367) Se si
afferma che i crediti ceduti ma non riscossi dal factor,
prima del fallimento del fornitore, diventano crediti del fallimento, ne
consegue che il factor che li abbia incassati dopo
il fallimento, non solo è tenuto a riversarli al fallimento, ma non può
neppure compensare questo suo debito verso la curatela con eventuali suoi
crediti verso il fallito (per restituzioni delle anticipazioni), perché il
primo è un credito della massa verso il factor e i
secondi sono crediti del factor verso il fallito, e
dunque manca la condizione di terzietà che permette l’utilizzo dell’art. 56
l. fall. (368) Sicchè nel
caso in cui il factor riscuota i crediti dopo la
dichiarazione di fallimento, dovrà rimettere al curatore le somme riscosse ed
insinuarsi al passivo per le anticipazioni fatte, a parte l’obbligo di
garantirne il buon fine, se ceduti con clausola “pro soluto”. Le
cessioni perfezionate prima del fallimento, con il pagamento da parte del
debitore ceduto al factor, esauriscono
completamente i loro effetti prima della procedura. Rispetto
ad esse rimarrebbe solo l’obbligo del factor di
accreditare al cedente e per esso al curatore, le somme effettivamente
riscosse “pro solvendo” o “pro soluto”, in ogni caso con
facoltà di dedurre i propri crediti nell’esercizio della prevista facoltà di
compensazione. La
cessione di crediti futuri non dovrebbe essere astrattamente opponibile, in
base alle considerazioni circa il momento in cui si verifica l’effetto
traslativo, tenendo presente l’ultimo comma dell’art. 72 della l. fall, nelle operazioni effettivamente configurate
solamente in termini di vendita. (369) L’istituto
della cessione di crediti futuri, per quanto non contenuto nel codice civile
è stato ritenuto ammissibile dalla giurisprudenza, con le precisazioni
formulate dalla Cassazione. In
pratica il necessario requisito della determinatezza o della determinabilità
dell’oggetto del contratto, si può considerare soddisfatto quando sia
indicato e quindi costituito, il rapporto dal quale traggono origine i
crediti ceduti. La
particolarità del negozio riguarda l’effetto traslativo della titolarità del
credito, che pur trovando origine nel consenso espresso dalle parti è
differito nel tempo e si verifica nel momento futuro, in cui viene ad
esistenza la situazione giuridica obbligatoria tra cedente e debitore ceduto. La
citata sentenza della Corte d’Appello di Genova che ha riformato la decisione
di primo grado, escludendo la riconducibilità dello specifico rapporto alla
figura del mandato, costituisce il prototipo di quelle decisioni giudiziali
che affermano l’importanza della cessione dei crediti,come
uno strumento non solamente accessorio, che non consente di essere
sottovalutato nella determinazione della causa del rapporto. Infatti
la soluzione giurisprudenziale esaminata, considera il factoring come un
rapporto di scambio, con l’individuazione della sua causa giuridica nella
vendita, anche se ne prevede la coesistenza con le altre funzioni economiche
del contratto, solamente sussidiarie, di finanziamento e di gestione. Con
l’affermazione della causa di vendita, le anticipazioni effettuate dal factor al cedente, assumono il significato di pagamenti
parziali del corrispettivo della cessione e non invece di atti costitutivi di
un rapporto obbligatorio di finanziamento, da cui nasce il debito di
restituzione del cedente, contrapposto all’obbligo del factor
di rimettere al fornitore le somme a lui versate. (370)
Da
questo punto di vista la previsione d’interessi da pagare calcolati sulla
somma anticipata, non sarebbe tale da rendere l’operazione assimilabile ad un
mutuo, perchè l’elemento in questione si qualificherebbe
piuttosto come un sistema di definizione del prezzo.(371) Pertanto
se si afferma la prevalenza della causa di vendita del contratto, ne consegue
che la cessione di credito opponibile al fallimento, permette al credito
ceduto di non rientrare nella massa. Restano
acquisiti al fallimento tutti i crediti sorti prima della sentenza
dichiarativa e non ancora offerti in cessione al factor,
oppure offerti in cessione e non ancora accettati. Infine
secondo la sentenza citata, si rende impossibile l’ulteriore esecuzione del
rapporto con la stipula delle successive cessioni, mentre potranno essere
compensati, i debiti del factor per il versamento
della differenza tra il credito incassato e l’anticipo effettuato e i crediti
ad altro titolo vantati dal factor. (372)
La presenza
dell’azione revocatoria tra le norme che la legge fallimentare dedica agli effetti
del fallimento sugli atti svantaggiosi per i creditori è giustificata dalla
necessità della distribuzione paritaria del danno conseguente al dissesto del
comune debitore. Questa
situazione d’insufficienza economica, non è sempre contemporanea, rispetto al
tempo in cui l’insolvenza viene accertata ufficialmente e di conseguenza è
necessario rendere neutrali gli atti del fallito, che egli possa aver
compiuto con l’effetto di consumare il proprio patrimonio prima del
procedimento concorsuale, in un periodo di tempo che viene variamente
determinato dal nostro legislatore. In
genere il risultato tipico è quello stabilire un’inefficacia relativa,diretta a facilitare l’azione collettiva
esecutiva e quindi il recupero alla massa di poste patrimoniali attive che ne
erano state escluse, per poi utilizzarle per il soddisfacimento dei creditori
concorrenti. (373) La
costituzione di un rapporto di factoring e la sua attuazione in una serie di
cessioni di credito effettuate a favore del factor,
dal cliente che sarà poi dichiarato fallito, potrebbe violare questi
principi, poiché le utilità che se inserite nella procedura fallimentare
andrebbero a vantaggio di tutti i creditori, invece sarebbero indirizzate a
beneficio del solo factor. (374)
La
dichiarazione d’inefficacia verso la massa, delle cessioni di credito ormai
perfezionate con il pagamento in favore del factor
prima del fallimento del cedente, non è sempre stata condiviso da tutti gli
autori. Infatti
l’esercizio di una revocatoria fallimentare è stata contestata da alcuni
giuristi poichè ad esempio, si considera
controversa la possibilità di individuare la cessione di credito nell’ambito
di un contratto di factoring, quale un mezzo anormale di pagamento. (375) Anche
certe decisioni giurisprudenziali, hanno negato l’astratta revocabilità delle
cessioni di credito che si inscrivono nell’ambito di un contratto di
factoring, in quanto non costituirebbero mezzo di pagamento, non
modificherebbero l’efficienza patrimoniale sulla quale hanno diritto di
contare i creditori, nè sarebbero adatte a violare
la parità di condizioni tra creditori (Trib Milano,
24 ottobre 1967). Invece
una sentenza del Tribunale di Napoli del 4 luglio 1986, ha stabilito la non
revocabilità degli atti di cessione di credito susseguenti ad un contratto di
factoring, in quanto la cessione sarebbe stata solo un’elemento
di un più complesso rapporto, al pari del mutuo concluso correlativamente dal
factor. Sicchè non si
sarebbe dovuta impugnare la singola cessione, essendo invece astrattamente
revocabile solo il contratto di factoring. Nel
corso degli anni però è prevalso l’orientamento che ritiene ammissibile la
revocatoria fallimentare contro gli atti di cessione di credito, nell’ambito
di un contratto di factoring e sul fondamento e con i presupposti dell’art.
67,2° comma l. fall. (376) Per esse
valgono le regole adatte per la revoca di qualsiasi atto a titolo oneroso
normale, con l’onere del curatore di provarne tutti i presupposti come
l’onerosità, il compimento nell’anno anteriore alla dichiarazione di
fallimento e la conoscenza dello stato di insolvenza del cedente da parte del
factor. (377) Di
fronte ad un contratto di factoring dal contenuto tipicamente obbligatorio,
l’esigenza di porre fine al suo contenuto per tutelare il patrimonio del fallito,
si soddisfa nello scioglimento e nella fine della sua efficacia obbligatoria
per il futuro. Infatti
la rimozione degli effetti pregiudizievoli, derivanti dalla sua parziale
attuazione prima della sentenza di fallimento, si risolve con l’inefficacia
delle cessioni di credito già intervenute realizzabile attraverso la
revocatoria. (378) Perciò i presenza di certi requisiti,
la convenzione di base potrebbe correttamente essere oggetto dell’esercizio
dell’azione revocatoria fallimentare, potendosi trarre verso un insieme di
cessioni, le stesse conclusioni riguardanti una pluralità di trasferimenti di
credito. In ogni
caso il termine di riferimento dell’azione è il negozio di cessione e non
invece il pagamento effettuato dal debitore ceduto: al primo e alla sua
collocazione temporale si devono riferire tutti i problemi applicati
concreti, dal computo del periodo, alla conoscenza dello stato di
insolvenza. (379) La
cessione dei crediti del fallito effettuata nel factoring non dovrebbe
costituire un’atto solutorio
in base al n. 2 dell’art. 67,1°comma, rimanendo escluso che la cessione,
sebbene non sia estranea ad una funzione di garanzia, sia riconducibile in
sede di revocatoria alle ipotesi di cui al n. 3-4 dell’art. 67.
(380) Inoltre
non sarebbe revocabile in via autonoma, l’annotazione in conto corrente di
importi incassati dal factor, in forza di una
cessione di credito opponibile al fallimento, siccome la disciplina del conto
corrente, per la regolamentazione contabile del rapporto di factoring ha funzione
meramente strumentale e non effettivamente costitutiva di situazioni
giuridiche finali. (381) In
applicazione dell’art. 71 della l. fall., il
cessionario potrebbe inserirsi al passivo sia per l’importo dei pagamenti
restituiti, che per il valore nominale dei crediti ceduti non scaduti.(382) In ogni caso l’esercizio della
revocatoria non è diretto verso gli atti di compensazione, perchè essa produce il risultato dell’estinzione dei
debiti reciproci, ma non è un pagamento. (383) Invece
la revocatoria potrà essere indirizzata verso eventuali atti preparatori
della compensazione e nel caso del factoring, verso gli atti di cessione del
credito, se costituiscano una dolosa preordinazione dell’atto, diretta a
violare la parità di trattamento tra creditori concorsuali. (384) Per i contratti di
factoring qualificati dai precisi requisiti, stabiliti dalla normativa
speciale riguardante la cessione dei crediti, l’art. 7 della legge n. 52/1991
introduce il principio per cui, l'efficacia della cessione verso i terzi
prevista dalla stessa normativa (art. 5,1° comma) non è opponibile al
fallimento del cedente, se il curatore fornisce la prova che il cessionario
specializzato conosceva l’insolvenza del cedente, al momento del pagamento e
sempre che il versamento al cliente, sia stato eseguito nell'anno anteriore
alla sentenza dichiarativa di fallimento e prima della scadenza del credito
ceduto. Inoltre
si prevede la novità del possibile esercizio, da parte del curatore del cedente-fallito,
della facoltà di recedere dalle cessioni stipulate dal fornitore
limitatamente ai crediti non ancora sorti, alla data della sentenza
dichiarativa del suo fallimento. (385) La
disposizione è completata da quella del terzo e ultimo comma, dove viene
precisato che in caso di recesso, il curatore deve restituire al cessionario
il corrispettivo pagato al cedente per le suddetti trasferimenti. (386) La norma
letta in coordinamento con le altre disposizioni di cui si compone la legge,
introduce una forma di opponibilità basata sull’assenza contemporanea delle
circostanze elencate all’art. 7,1° comma successivo, come la conoscenza dello
stato d’insolvenza da parte del curatore, l’esecuzione del pagamento
nell’anno anteriore al fallimento e infine l’anteriorità del pagamento del
corrispettivo rispetto alla scadenza del credito ceduto. (387)
Anche se
questa disposizione normativa somiglia alla formulazione dell’art. 67,2°
comma della legge fall., nel riferimento alla
conoscenza dello stato di insolvenza e alla determinazione del periodo
sospetto, essa non definisce un’azione revocatoria, ma si colloca su un piano
diverso, mettendo un limite all’opponibilita della
cessione di credito verso il fallimento del cedente, all’acquirente che abbia
effettuato pagamenti: un limite cioè all’operatività del precedente articolo
5. (388) Il
recesso presuppone l’opponibilità della cessione al fallimento e infatti se
la cessione non fosse opponibile, il curatore ne farebbe valere l’inefficacia
proprio per questo, senza usare la facoltà di recesso, il cui esercizio crea
l’obbligo di restituire il corrispettivo. (389) La norma
non sembra incidere sul contratto di factoring inteso come convenzione di
base, ma soltanto sulle cessioni poste in essere in attuazione di quella
convenzione. (390) Le
cessioni di cui si parla sono infatti quelle stipulate, cioè quelle
perfezionate nella loro specifica struttura negoziale, anche se destinate ad
avere effetto differito per le caratteristiche del loro oggetto.(391)
Al
curatore è conferita una facoltà di scelta discrezionale, che egli potrà
esprimere con il recesso, come manifestazione negoziale a forma libera e che
in sede giudiziale potrà esercitare anche come eccezione, trattandosi
comunque di un’atto dispositivo che è fuori dai
poteri del difensore. L’autorizzazione
del giudice delegato, si dovrebbe richiedere sia nell’ipotesi di
manifestazione del recesso, sia in quella della volontà contraria al recesso,
poichè nell’uno e nell’altro caso, si verifica
l’uscita del credito ceduto dalla massa. Nel caso
in cui il curatore rimanga inattivo, al factor
dovrebbe essere consentito far fissare un termine, tramite il giudice
delegato, mettendo in mora il curatore in maniera simile all’art. 72 l. fall., con il risultato che il silenzio equivarrebbe al
recesso, con effetto definitivo e con rilevanza non solo interna al
procedimento fallimentare. (392)
Trattandosi
di soggetti di ampia solvibilità, si deve considerare solo eventuale,
l’ipotesi dell’apertura di una procedura concorsuale nei loro confronti,
anche se non è possibile escluderla del tutto, dal momento che negli ultimi
anni la grande diffusione di questa attività economica, ha convinto società
estranee al settore creditizio, ad occuparsi di cessione di crediti d’impresa
e di locazione finanziaria. In caso
di qualificazione del negozio in termini di vendita di crediti e se la sorte
del contratto non dovesse coincidere con la prospettiva dello scioglimento,
bisognerebbe distinguere le diverse ipotesi delle cessioni non ancora
eseguite, da quelle attuate da entrambi i contraenti. Nel
primo caso ed in costanza del fallimento del factor,
spetterebbe all’impresa cliente decidere se concludere la sua prestazione e
porre il proprio credito per il prezzo nel passivo della procedura
concorsuale. Altrimenti
l’esecuzione del contratto rimarrebbe sospesa, fino a quando il curatore non
dichiari di sostituirsi in luogo del fallito (art. 72,1°-2°comma l.fall.) e allora l’impresa cedente potrebbe chiedere una
cauzione in base all’art. 73,1°comma della legge fall.,
a meno che il curatore non esegua subito il pagamento del prezzo con lo
sconto dell’interesse legale. (394) Invece
per le cessioni di credito già compiute, delle quali il cedente sia ancora
creditore del prezzo, si potrebbe ipotizzare l’insinuazione del cliente nel
passivo del fallimento: ad esempio si tratterebbe di un credito condizionale,
qualora la cessione sia stata pattuita con rivalsa del cessionario. (395) Se il factor avesse versato anticipi a valere sul credito
ceduto, il curatore potrebbe chiederne la dichiarazione d’inefficacia in base
all’art. 65 l. fall., trattandosi di pagamenti di
diritti che scadono successivamente alla dichiarazione di fallimento e che
pertanto sarebbero recuperabili alla massa. (396) Considerata
prevalente la causa di cooperazione gestoria del
factoring e ricondotto il contratto di base allo schema del mandato, alla
convenzione verrebbe applicato l’art. 78 e sui crediti già trasferiti e non
ancora incassati dal cessionario, i creditori del fallito non potrebbero far
valere i propri diritti, se sia stata soddisfatta la condizione di cui
all’art. 1707 c.c. (397) Tuttavia
questa tutela per l’impresa cliente, non sarebbe utilizzabile dove il
contratto di base non fosse costituito in forma di scrittura avente data
certa. (398) A
seguito dello scioglimento del negozio-quadro, anche il connesso contratto di
finanziamento seguirebbe la sua sorte e le somme eventualmente erogate
dall’imprenditore specializzato, potrebbero essere acquisite alla massa
fallimentare, attraverso l’esercizio di una revocatoria ex art 67,2° l. fall. Ricorrendo
le condizioni previste nella precedente norma di legge, con lo stesso rimedio
potrebbe revocarsi l’atto costitutivo della garanzia, relativa ai crediti
ceduti al factor “pro soluto” e che il
fornitore potrà insinuare al passivo come crediti condizionali. Qualificando
il contratto come un mandato “in rem propriam”,
il rapporto non cesserebbe per il fallimento del mandatario, in quanto i
poteri a questo attribuiti anche nel suo interesse, farebbero parte del suo
patrimonio.(399) Però a
favore del cedente sarebbe consentito l’esercizio del recesso per giusta
causa e il curatore potrebbe ad esempio, incassare i crediti già acquistati e
ottenere la commissioni e le altre spettanze pattuite in proprio favore. (400)
La regola posta dall’art.
6 di questo testo normativo, ha previsto che il pagamento effettuato dal
debitore ceduto al cessionario, non sia soggetto all’azione revocatoria,
modificando così la costante prassi precedente, basata sull’art. 67,2° comma
della l. fallimentare. Questa disciplina è del
tutto particolare nell’ambito delle disposizioni concorsuali, poiché
stabilisce che l’azione revocatoria può essere proposta nei confronti del
cedente, se il curatore prova che il cliente-fornitore era a conoscenza dello
stato d’insolvenza del debitore ceduto, alla data di pagamento al
cessionario. (401) In caso di revocatoria dei
pagamenti a favore dell’ufficio fallimentare del debitore ceduto, viene
concessa l’azione di rivalsa del cedente nei confronti del cessionario che
abbia rinunciato alla c.d. garanzia di solvenza. In definitiva l’art. 6,
prescrivendo che l’ufficio concorsuale del debitore ceduto possa proporre
l’azione revocatoria, non nei confronti del cessionario ma del cedente,
indica come legittimato passivo un soggetto che potrebbe non aver ricevuto
niente dal debitore, nel caso in cui il cessionario sia stato il destinatario
reale del pagamento.(402) Alcuni autori hanno
individuato la logica della disposizione di legge, nella volontà di
svantaggiare le cessioni di crediti di dubbia sicurezza, esponendo il cedente
al rischio della revocatoria, in caso di fallimento del suo debitore. Inoltre il factor potrebbe agire verso il cliente, nell’ipotesi di
revocatoria dei pagamenti ricevuti, in base alla garanzia della solvenza del
debitore ceduto assunta dal cedente e che normativa dell’art. 4, prevede come
effetto naturale della cessione del credito.(403) Il presupposto dell’azione
svolta contro il fornitore è la dimostrazione della conoscenza
dell’insolvenza del debitore ceduto, da parte del cedente, alla data del
pagamento al cessionario. Tuttavia il principio
affermato dalla norma è stato oggetto di numerose critiche, perchè l’esercizio dell’azione viene vietato nei
confronti del cessionario che ha tutti gli strumenti per rendersi conto dello
stato di insolvenza in cui versa il debitore e viene ammesso invece verso il
cedente, che dopo la cessione non avrebbe ragioni per interessarsi del
credito. (404) La formulazione dell’art. 6
è stata anche contestata per la scelta di non distinguere tra i diversi
pagamenti anomali e per la mancanza di precisazione dei periodi sospetti, ai
fini dell’esperibilità della revocatoria
fallimentare.(405) Un’altro aspetto controverso, è legato
all’oggetto dell’azione rivolta contro il cedente, poiché rimane dubbio se
essa colpisca l’intero importo pagato dal debitore ceduto al factor o invece solo la somma ridotta riferita al
cedente.(406) La prima soluzione
sembrerebbe giustificata nell’ambito della tutela da apprestare ai creditori,
mentre la seconda sarebbe motivata dall’opposta prospettiva di tutela del
cliente-fornitore. Infatti in base all’art. 4
della legge n. 52/1991, il cedente risponde verso il cessionario, solo nei
limiti del corrispettivo della cessione, ma in questo caso sarebbe esposto
alla revocatoria per una somma superiore. Ragionevolmente dovrebbe
ammettersi l’azione del cedente in rivalsa nei confronti del cessionario, per
l’eccedenza tra quanto ha dovuto corrispondere a causa della revocatoria e
quanto era tenuto a versare in base alla garanzia. Dal punto di vista delle
disposizioni contrattuali, dovrebbe considerarsi nullo il patto diretto ad
accollare al cedente questa maggiore responsabilità. (407)
La legge non contiene
disposizioni esplicite, sulla possibilità che il cessionario possa insinuarsi
al passivo della procedura concorsuale, per il recupero dei crediti
cedutigli, prima della data di dichiarazione del fallimento. Infatti il factor non riveste la qualifica di legittimato passivo
per l’azione revocatoria, ma potrebbe comunque insinuarsi nella massa come
creditore chirografario. (408) Rimane controverso se il
cedente che abbia subito la revocatoria, possa considerarsi creditore
concorsuale rispetto al fallimento del debitore ceduto, in base all’art. 71
della l. fall., poichè il
fornitore non è più creditore del fallito, avendo trasferito il diritto a
favore del cessionario, verso cui d’altra parte, non ha più revocatoria per i
crediti incassati.(409) Nell’ipotesi negativa, il
cedente potrebbe rivalersi solo con un’azione diretta contro l’impresa di
factoring, realizzandosi in mancanza, un’indebito
arricchimento del debitore ceduto. (410) Dunque
il cedente dovrebbe essere ammesso al passivo, sulla base della
considerazione che in fondo, il cliente-fornitore che paga il debito del
cessionario adempie anche un’obbligazione verso quest’ultimo, per la garanzia
che è tenuto a prestare, mentre se c’è stata rinuncia alla garanzia, questo
significa che il factor ha voluto assumere su di se
il rischio della solvenza del ceduto, assicurando così in questo modo il
cedente. (411)
Tesi di Laurea: Il factoring
e la cessione dei crediti d’impresa, Libera Università degli Studi di Urbino,
Facoltà di Giurisprudenza, Anno Accademico 1999/2000, Candidato: Fabio Giovagnoli, Arcevia (AN), Relatore: Chiar.mo Prof. Antonio Nuzzo.
Email: fabio.giovagnoli@libero.it. |