Descrizione: Descrizione: Descrizione: urbino logoblu

 

UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI URBINO


FACOLTA' DI GIURISPRUDENZA

 

 

IL FACTORING E LA CESSIONE DEI CREDITI D’IMPRESA

   di Fabio Giovagnoli

 

Capitolo Quarto

Il factoring e le procedure concorsuali.


 

4.1. Le conseguenze delle diverse qualificazioni giuridiche del rapporto. - 4.2    La convenzione come mandato “in rem propriam”. - 4.3 Il fallimento del fornitore cedente. - 4.4 L’esercizio dell’azione revocatoria nei confronti delle cessioni opponibili al fallimento. - 4.5 La crisi economica del cessionario - 4.6 Il fallimento del debitore ceduto

 

 

 

 

4.1. Le conseguenze delle diverse qualificazioni giuridiche del rapporto.

 

Il contratto di factoring permette di trasferire a un’impresa specializzata, la contabilizzazione, la riscossione e la gestione in genere, della globalità dei crediti a breve, realizzando in questo modo una funzione di decentramento complessivo di un’intero settore dell’impresa cedente e anche una funzione finanziaria, la cui esecuzione è rimessa però alla discrezione del factor. (334)

Alcuni autori considerano l’intera operazione come un contratto definitivo ed unitario (335), mentre al riguardo altre opinioni individuano nella convenzione iniziale, un preliminare unilaterale (336) o un contratto normativo. (337)

Secondo ulteriori punti di vista, la sottoscrizione delle condizioni generali può concretizzare un contratto normativo e preliminare insieme (338) o un negozio in parte definitivo e in parte preliminare, comunque nettamente distinto dalle singole cessioni dei crediti. (339)

In ogni modo è difficile contestare che la conclusione dell’accordo, nel suo schema minimale, permette al factor di diventare titolare della globalità dei crediti ceduti, di poterli riscuotere e di restituire il ricavato all’impresa cedente, dopo la deduzione di una commissione per i servizi resi. (340)

Le singole cessioni dei crediti si inseriscono nell’operazione a scopo strumentale e sembrano attuate più a causa di mandato, che a causa di vendita, poiché l’impresa cede i crediti al factor, non per trasferirgli le utilità economiche garantite al creditore, ma per attribuirgli uno strumento giuridico, che consenta di riscuotere e tutelare i diritti ceduti. (341)

Le caratteristiche dell’attività gestoria affidata all’impresa specializzata, permettono di definire la convenzione come un “mandato sui generis”, abbastanza simile allo schema voluto dal legislatore, per consentire che la disciplina tipica gli sia estesa per quanto possibile per analogia, mentre al collegato rapporto di finanziamento saranno applicabili le disposizioni sui contratti di finanziamento più vicine e similari. (342)

Questa ricostruzione del contratto di base, come un conferimento al mandatario dell’incarico di compiere per conto del cliente, gli atti giuridici di disposizione di beni o diritti del mandante stesso, non realizza senz’altro un’indisponibilità reale, poichè questa figura negoziale non ha efficacia traslativa diretta e non è adatta a separare il bene oggetto del contratto dal patrimonio del mandante. (343)

Però la definizione del factoring in termini di mandato, non esclude la possibilità che i contraenti possano decidere di trasferire il credito contestualmente oppure in via successiva, per realizzare l’esecuzione dell’incarico e che anzi, tale trasferimento trovi giustificazione in questa struttura negoziale.(344)

            La considerazione del factoring nello schema causale del mandato comporta lo scioglimento del contratto ex art. 78 della legge fall., così come ritenuto da alcune sentenze del Tribunale di Genova e di quello di Brescia. (345)Ad una simile soluzione arrivano quegli quegli autori, che si riferiscono alla comune prassi contrattuale dell’automatico scioglimento del rapporto o della facoltà di recesso riconosciuta al factor (346)in caso di fallimento del fornitore cedente, ma anche coloro che ritengono che le cessioni di credito abbiano causa di vendita.

            Tuttavia sotto il profilo strutturale, il factoring si scompone in due momenti diversi: il contratto da cui nasce il rapporto e le successive cessioni di credito, che in definitiva ne costituiscono la fase attuativa. (347)

La convenzione si può presentare sotto la duplice forma del contratto-quadro, a cui si ricollegano in via d’esecuzione i successivi episodi negoziali di cessione, ovvero come cessione globale di crediti presenti e futuri. (348)

Nella prima di queste ipotesi, il contratto-quadro, considerato nella suo carattere preparatorio rispetto alle cessioni e nella sua rilevanza giuridica solo obbligatoria e non traslativa, non è sicuramente adatto ad essere assoggettato alla revocatoria. 

Invece nel caso di un’accordo di cessione globale di crediti presenti e futuri, sebbene l’effetto della vendita reale si realizzerà solo dopo la venuta ad esistenza dei diritti, la convenzione già costituisce in capo al factor una situazione giuridicamente tutelata, simile alle ipotesi di diritto sottoposto a condizione.

Ma nella pratica del factoring italiano, il principio di globalità rimane circoscritto e i factors si riservano un’ampio diritto di scelta dei crediti da acquistare, analogo ad una riserva di gradimento.

Pertanto il trasferimento dei crediti, si determina non tanto al momento della conclusione del contratto, quanto piuttosto quando l’imprenditore specializzato esprima il proprio gradimento. (349)



4.2     La convenzione di factoring come mandato in “rem propriam”.

 

La perdita della disponibilità di una massa di crediti da parte del cedente, per rafforzare i poteri gestori del factor e la frequente corresponsione di anticipazioni (e quindi la partecipazione del factor al rischio economico del cliente), hanno convinto alcuni autori a qualificare la convenzione come un mandato in “rem propriam(350). Una delle caratteristiche di questa figura contrattuale è legata al fatto che il mandatario conserva la legittimazione alla riscossione dei crediti dopo il fallimento del mandante, con l’obbligo di rendere al curatore le somme incassate. (351)

Inoltre la giurisprudenza della Cassazione in materia, afferma che il mandatario in “rem propriam” avrebbe diritto non solo a riscuotere, ma anche a trattenere tali somme, quando l’incarico conferito si accompagna alla cessione dei crediti affidati per la riscossione. (352)

Però tale diritto è stato riconosciuto subordinatamente al rigoroso accertamento di fatto e di competenza del giudice di merito, dell’esistenza di una cessione produttiva di un’effetto traslativo prima del fallimento. (353)

Lo scioglimento della convenzione a seguito del fallimento del cedente, obbligherebbe il factor a retrocedere al fallimento i crediti acquisiti, proprio come dovrebbe fare ogni mandatario rispetto ai mezzi ricevuti dal mandante per l’esecuzione dell’incarico (1719 c.c.), rimanendo al factor il diritto alla prededuzione delle proprie commissioni e delle anticipazioni di spesa effettuate (1721 c.c.).

Lo scioglimento del rapporto potrebbe escludersi, quando si individuasse un’interesse giuridicamente precisato del mandatario, poiché la giurisprudenza ha più volte affermato la sopravvivenza del mandato in “rem propriam” al fallimento del mandante (1723,2° comma c.c.) e tale utilità potrebbe scorgersi nell’ipotesi di un collegamento funzionale, tra il mandato ed un negozio creditizio, vale a dire all’erogazione anticipata sui crediti all’incasso. 

In particolare quest’interesse del mandatario dovrebbe essere qualificato giuridicamente, derivando da un rapporto obbligatorio tra i contraenti,che sia precedente o contestuale al negozio stesso. 

Alcuni autori hanno però sostenuto che tale utilità del mandatario, potrebbe manifestarsi in qualunque forma, anche successivamente alla conclusione del mandato, purchè il negozio sia voluto dalle parti anche per la sua realizzazione.

In generale gli effetti di questa particolare qualifica giuridica, non muterebbero sostanzialmente la situazione, poiché il factor potrebbe prededure le proprie spettanze dalla retrocessione del credito al fallimento, ma riceverebbe il rimborso in moneta fallimentare, non potendo operare la compensazione di cui all’art. 56 della l. fall

Infatti in caso di fallimento non sarebbe possibile la compensazione tra le parti, perchè verrebbe impedita dalla mancanza della contemporanea preesistenza alla sentenza dichiarativa, del credito del factor per le anticipazioni effettuate prima del fallimento e del suo debito di restituzione delle somme da riscosse che invece sorge successivamente. 

L’acquisizione al factor delle somme riscosse, in base al meccanismo di accreditamento sul conto intrattenuto con il fornitore e della detrazione del credito per anticipazioni già annotato, è esclusa ex art. 44 l. fall., che toglie efficacia al pagamento del terzo debitore ceduto, ricevuto dal factor non per proprio conto, ma per quello del fornitore fallito, essendo ormai tali somme di spettanza del patrimonio della massa. (354)

In sostanza nel tipo di factoring del quale è possibile escludere una connotazione di vendita di crediti, si può ammettere l’insinuazione del factor nella massa fallimentare, non potendo il cessionario trattenere e conseguentemente detrarre dal proprio credito per anticipazioni, le somme eventualmente riscosse dai debitori ceduti dopo il fallimento. 



4.3     Il fallimento del fornitore cedente.

      

     Nella disciplina frammentaria della legge fallimentare, si trovano stabiliti tre distinti criteri, utilizzati per regolare la sorte dei rapporti giuridici che coinvolgono il fallito e che risultano pendenti alla data della sentenza dichiarativa. 

Il principio dello scioglimento automatico è stato usato in tutti quei casi in cui il legislatore ha stabilito che il rapporto non possa sopravvivere al fallimento, con la sostituzione del curatore nella posizione contrattuale del fallito, per l’incompatibilità dell’oggetto del rapporto con la procedura concorsuale. (355)

In questo caso i debiti e i crediti reciproci dei contraenti restano fermi alla data di dichiarazione del fallimento e i residui debiti del contraente vanno soddisfatti nei confronti dell’ufficio fallimentare, mentre i suoi rimanenti crediti sono assoggettati alle regole del concorso, a parte la compensazione in applicazione dell’art. 56 della l. fallimentare. (356)

Il criterio opposto della prosecuzione dei rapporti nei confronti dell’ufficio concorsuale è seguito nei casi in cui la normale evoluzione dei legami negoziali può restare indifferente al sopravvenuto fallimento. 

In tali ipotesi, la relazione contrattuale farà capo alla curatela, perché rispondente alle esigenze dell’amministrazione del patrimonio del fallito, e sarà finalizzata alla liquidazione concorsuale (357), ma i crediti inferiori del contraente potranno divenire prededucibili. (358)

Un terzo criterio intermedio a cui il legislatore è ricorso quando ha inteso lasciare spazio alle determinazioni delle parti, consiste nel determinare un regime misto, caratterizzato dal potere dell’ufficio fallimentare di scegliere tra lo scioglimento e la prosecuzione. (359)

Il factoring inteso come un contratto-quadro è sicuramente pendente alla data della dichiarazione di fallimento del cedente e se nel negozio si considera prevalente l’aspetto di cooperazione gestoria, la convenzione si scioglie per effetto della relativa sentenza dichiarativa, con l’applicazione l’art. 78 della legge fallimentare. (360)

Infatti il rapporto presuppone lo svolgimento di una particolare attività imprenditoriale che non è compatibile con l’interruzione dell’attività dell’insolvente, come immediata conseguenza della dichiarazione di fallimento, anche se l’art. 90 della l. fallimentare, prevede che il Tribunale possa disporre la continuazione temporanea dell’esercizio dell’impresa. (361)

Invece La Corte d’Appello di Genova, con sentenza 19 marzo 1993 n. 209, ha affermato che la constatazione dell’avvenuto scioglimento del factoring, non è decisiva ai fini della sorte dei crediti ceduti e che la risoluzione del problema, dipende dalla diversa collocazione temporale dell’effetto traslativo del credito, rispetto alla sentenza dichiarativa del fallimento, che appunto è il momento di definizione della situazione patrimoniale del fallito. (362)

Tuttavia la pronuncia ha anche escluso partendo da altri presupposti, la possibilità di modificazioni successive alla situazione patrimoniale del fallito, dipendenti da ulteriori sviluppi della convenzione e quindi ha finito per giungere allo stesso risultato dello scioglimento del contratto, susseguente al fallimento del cliente-cedente.

Dunque la conclusione di altre cessioni, non potrà essere pretesa in esecuzione del rapporto di factoring dal cessionario nei confronti del fallimento, ma nemmeno da parte del curatore verso l’impresa specializzata.

Ciò non esclude che il curatore, nel corso del fallimento possa procedere alla definizione delle cessioni di credito, ma tale attività sarà differente dal factoring come rapporto tra imprenditori, che ha ad oggetto crediti sorti nell’esercizio dell’impresa, perché diventerà solamente un’attività liquidatoria dell’ufficio concorsuale.

In genere nel factoring praticato in Italia, i crediti escono dal patrimonio del fallito, non in forza del contratto considerato isolatamente rispetto alle cessioni di credito, ma in base ai singoli trasferimenti che del negozio costituiscono esecuzione.

Questo accade sia nell’ipotesi di distinzione formale e temporale tra contratto-quadro e cessioni successive, sia nel caso di una massa d’atti dispositivi, in un unico contesto di cessione globale dei crediti, posti in essere con un’unica manifestazione di volontà, ma aventi una pluralità di oggetti distinti nell’insieme dei crediti ceduti. 

Sostenendo la natura di mandato, dallo scioglimento automatico del rapporto deriva che tutte le somme incassate dal factor successivamente alla dichiarazione del fallimento sono state incassate per conto del fallito e devono quindi essere riversate al fallimento, anche se la legittimazione al factor per l’incasso deriva da un’attività negoziale precedente (363).

La soluzione rimane valida, dove si configuri il factoring come mandato in “rem propriam”, che secondo la giurisprudenza non si scioglie automaticamente, ma pur lasciando sopravvivere la legittimazione ad incassare, non dispensa il mandatario dal rimettere al fallimento le somme incassate (364).

Tuttavia per le cessioni non ancora perfezionate, per la mancata accettazione dell’offerta da parte del factor, lo scioglimento del contratto comporta il decadere dell’offerta e il ripristino della situazione antecedente.

Circa l’opponibilità di singole cessioni di credito già perfezionate, in giurisprudenza si afferma costantemente la necessità che vengano compiute le formalità prescritte dall’art. 1265 c.c. e richiamate nell’art. 45 della l. fall

Inoltre è stata suggerita un’interpretazione estensiva, che tenga conto delle caratteristiche dell’operazione e stimi sufficiente la notizia della cessione, comunque pervenuta per iscritto al debitore ceduto. (365)

Ad integrazione di quanto disposto dagli artt. 1265 e 2914 c.c. e dell’art. 45 l. fall., bisogna ricordare che la legge n. 52/1991 ha aggiunto ai mezzi per rendere opponibile la cessione ai terzi e quindi anche al fallimento del cedente, un nuovo sistema rappresentato dal pagamento del corrispettivo della cessione, anche parziale purchè avente data certa (366).

Pertanto dove le cessioni di credito non risultino notificate, a mezzo ufficiale giudiziario (Cass., 19 ottobre 1962, n. 3041, in Banca borsa e tit., 1963, II, p. 21) o accettate dal debitore ceduto con atto avente data certa anteriore al fallimento, oppure dove non ricorra il nuovo criterio di opponibilità previsto dall’art. 5 della legge n. 52/1991, allora le cessioni non saranno opponibili alla curatela e le relative riscossioni operate dal factor successivamente al fallimento, dovranno essere restituite alla massa. (367)

Se si afferma che i crediti ceduti ma non riscossi dal factor, prima del fallimento del fornitore, diventano crediti del fallimento, ne consegue che il factor che li abbia incassati dopo il fallimento, non solo è tenuto a riversarli al fallimento, ma non può neppure compensare questo suo debito verso la curatela con eventuali suoi crediti verso il fallito (per restituzioni delle anticipazioni), perché il primo è un credito della massa verso il factor e i secondi sono crediti del factor verso il fallito, e dunque manca la condizione di terzietà che permette l’utilizzo dell’art. 56 l. fall(368)

Sicchè nel caso in cui il factor riscuota i crediti dopo la dichiarazione di fallimento, dovrà rimettere al curatore le somme riscosse ed insinuarsi al passivo per le anticipazioni fatte, a parte l’obbligo di garantirne il buon fine, se ceduti con clausola “pro soluto”.

Le cessioni perfezionate prima del fallimento, con il pagamento da parte del debitore ceduto al factor, esauriscono completamente i loro effetti prima della procedura.

Rispetto ad esse rimarrebbe solo l’obbligo del factor di accreditare al cedente e per esso al curatore, le somme effettivamente riscosse “pro solvendo” o “pro soluto”, in ogni caso con facoltà di dedurre i propri crediti nell’esercizio della prevista facoltà di compensazione.

La cessione di crediti futuri non dovrebbe essere astrattamente opponibile, in base alle considerazioni circa il momento in cui si verifica l’effetto traslativo, tenendo presente l’ultimo comma dell’art. 72 della l. fall, nelle operazioni effettivamente configurate solamente in termini di vendita. (369)

L’istituto della cessione di crediti futuri, per quanto non contenuto nel codice civile è stato ritenuto ammissibile dalla giurisprudenza, con le precisazioni formulate dalla Cassazione.

In pratica il necessario requisito della determinatezza o della determinabilità dell’oggetto del contratto, si può considerare soddisfatto quando sia indicato e quindi costituito, il rapporto dal quale traggono origine i crediti ceduti. 

La particolarità del negozio riguarda l’effetto traslativo della titolarità del credito, che pur trovando origine nel consenso espresso dalle parti è differito nel tempo e si verifica nel momento futuro, in cui viene ad esistenza la situazione giuridica obbligatoria tra cedente e debitore ceduto.

La citata sentenza della Corte d’Appello di Genova che ha riformato la decisione di primo grado, escludendo la riconducibilità dello specifico rapporto alla figura del mandato, costituisce il prototipo di quelle decisioni giudiziali che affermano l’importanza della cessione dei crediti,come uno strumento non solamente accessorio, che non consente di essere sottovalutato nella determinazione della causa del rapporto. 

Infatti la soluzione giurisprudenziale esaminata, considera il factoring come un rapporto di scambio, con l’individuazione della sua causa giuridica nella vendita, anche se ne prevede la coesistenza con le altre funzioni economiche del contratto, solamente sussidiarie, di finanziamento e di gestione.

Con l’affermazione della causa di vendita, le anticipazioni effettuate dal factor al cedente, assumono il significato di pagamenti parziali del corrispettivo della cessione e non invece di atti costitutivi di un rapporto obbligatorio di finanziamento, da cui nasce il debito di restituzione del cedente, contrapposto all’obbligo del factor di rimettere al fornitore le somme a lui versate. (370)

Da questo punto di vista la previsione d’interessi da pagare calcolati sulla somma anticipata, non sarebbe tale da rendere l’operazione assimilabile ad un mutuo, perchè l’elemento in questione si qualificherebbe piuttosto come un sistema di definizione del prezzo.(371)

Pertanto se si afferma la prevalenza della causa di vendita del contratto, ne consegue che la cessione di credito opponibile al fallimento, permette al credito ceduto di non rientrare nella massa. 

Restano acquisiti al fallimento tutti i crediti sorti prima della sentenza dichiarativa e non ancora offerti in cessione al factor, oppure offerti in cessione e non ancora accettati. 

Infine secondo la sentenza citata, si rende impossibile l’ulteriore esecuzione del rapporto con la stipula delle successive cessioni, mentre potranno essere compensati, i debiti del factor per il versamento della differenza tra il credito incassato e l’anticipo effettuato e i crediti ad altro titolo vantati dal factor(372)



4.4    L’esercizio dell’azione revocatoria nei confronti delle cessioni opponibili al fallimento.

 

La presenza dell’azione revocatoria tra le norme che la legge fallimentare dedica agli effetti del fallimento sugli atti svantaggiosi per i creditori è giustificata dalla necessità della distribuzione paritaria del danno conseguente al dissesto del comune debitore.

Questa situazione d’insufficienza economica, non è sempre contemporanea, rispetto al tempo in cui l’insolvenza viene accertata ufficialmente e di conseguenza è necessario rendere neutrali gli atti del fallito, che egli possa aver compiuto con l’effetto di consumare il proprio patrimonio prima del procedimento concorsuale, in un periodo di tempo che viene variamente determinato dal nostro legislatore.

In genere il risultato tipico è quello stabilire un’inefficacia relativa,diretta a facilitare l’azione collettiva esecutiva e quindi il recupero alla massa di poste patrimoniali attive che ne erano state escluse, per poi utilizzarle per il soddisfacimento dei creditori concorrenti. (373)

La costituzione di un rapporto di factoring e la sua attuazione in una serie di cessioni di credito effettuate a favore del factor, dal cliente che sarà poi dichiarato fallito, potrebbe violare questi principi, poiché le utilità che se inserite nella procedura fallimentare andrebbero a vantaggio di tutti i creditori, invece sarebbero indirizzate a beneficio del solo factor(374)

La dichiarazione d’inefficacia verso la massa, delle cessioni di credito ormai perfezionate con il pagamento in favore del factor prima del fallimento del cedente, non è sempre stata condiviso da tutti gli autori.

Infatti l’esercizio di una revocatoria fallimentare è stata contestata da alcuni giuristi poichè ad esempio, si considera controversa la possibilità di individuare la cessione di credito nell’ambito di un contratto di factoring, quale un mezzo anormale di pagamento. (375)

Anche certe decisioni giurisprudenziali, hanno negato l’astratta revocabilità delle cessioni di credito che si inscrivono nell’ambito di un contratto di factoring, in quanto non costituirebbero mezzo di pagamento, non modificherebbero l’efficienza patrimoniale sulla quale hanno diritto di contare i creditori, sarebbero adatte a violare la parità di condizioni tra creditori (Trib Milano, 24 ottobre 1967).

Invece una sentenza del Tribunale di Napoli del 4 luglio 1986, ha stabilito la non revocabilità degli atti di cessione di credito susseguenti ad un contratto di factoring, in quanto la cessione sarebbe stata solo un’elemento di un più complesso rapporto, al pari del mutuo concluso correlativamente dal factor.

Sicchè non si sarebbe dovuta impugnare la singola cessione, essendo invece astrattamente revocabile solo il contratto di factoring.

Nel corso degli anni però è prevalso l’orientamento che ritiene ammissibile la revocatoria fallimentare contro gli atti di cessione di credito, nell’ambito di un contratto di factoring e sul fondamento e con i presupposti dell’art. 67,2° comma l. fall(376)

Per esse valgono le regole adatte per la revoca di qualsiasi atto a titolo oneroso normale, con l’onere del curatore di provarne tutti i presupposti come l’onerosità, il compimento nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento e la conoscenza dello stato di insolvenza del cedente da parte del factor(377)

Di fronte ad un contratto di factoring dal contenuto tipicamente obbligatorio, l’esigenza di porre fine al suo contenuto per tutelare il patrimonio del fallito, si soddisfa nello scioglimento e nella fine della sua efficacia obbligatoria per il futuro.

Infatti la rimozione degli effetti pregiudizievoli, derivanti dalla sua parziale attuazione prima della sentenza di fallimento, si risolve con l’inefficacia delle cessioni di credito già intervenute realizzabile attraverso la revocatoria. (378)

       Perciò i presenza di certi requisiti, la convenzione di base potrebbe correttamente essere oggetto dell’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare, potendosi trarre verso un insieme di cessioni, le stesse conclusioni riguardanti una pluralità di trasferimenti di credito.

In ogni caso il termine di riferimento dell’azione è il negozio di cessione e non invece il pagamento effettuato dal debitore ceduto: al primo e alla sua collocazione temporale si devono riferire tutti i problemi applicati concreti, dal computo del periodo, alla conoscenza dello stato di insolvenza. (379)

La cessione dei crediti del fallito effettuata nel factoring non dovrebbe costituire un’atto solutorio in base al n. 2 dell’art. 67,1°comma, rimanendo escluso che la cessione, sebbene non sia estranea ad una funzione di garanzia, sia riconducibile in sede di revocatoria alle ipotesi di cui al n. 3-4 dell’art. 67. (380)

Inoltre non sarebbe revocabile in via autonoma, l’annotazione in conto corrente di importi incassati dal factor, in forza di una cessione di credito opponibile al fallimento, siccome la disciplina del conto corrente, per la regolamentazione contabile del rapporto di factoring ha funzione meramente strumentale e non effettivamente costitutiva di situazioni giuridiche finali. (381)

In applicazione dell’art. 71 della l. fall., il cessionario potrebbe inserirsi al passivo sia per l’importo dei pagamenti restituiti, che per il valore nominale dei crediti ceduti non scaduti.(382)

In ogni caso l’esercizio della revocatoria non è diretto verso gli atti di compensazione, perchè essa produce il risultato dell’estinzione dei debiti reciproci, ma non è un pagamento. (383)

Invece la revocatoria potrà essere indirizzata verso eventuali atti preparatori della compensazione e nel caso del factoring, verso gli atti di cessione del credito, se costituiscano una dolosa preordinazione dell’atto, diretta a violare la parità di trattamento tra creditori concorsuali. (384)

Per i contratti di factoring qualificati dai precisi requisiti, stabiliti dalla normativa speciale riguardante la cessione dei crediti, l’art. 7 della legge n. 52/1991 introduce il principio per cui, l'efficacia della cessione verso i terzi prevista dalla stessa normativa (art. 5,1° comma) non è opponibile al fallimento del cedente, se il curatore fornisce la prova che il cessionario specializzato conosceva l’insolvenza del cedente, al momento del pagamento e sempre che il versamento al cliente, sia stato eseguito nell'anno anteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento e prima della scadenza del credito ceduto.

Inoltre si prevede la novità del possibile esercizio, da parte del curatore del cedente-fallito, della facoltà di recedere dalle cessioni stipulate dal fornitore limitatamente ai crediti non ancora sorti, alla data della sentenza dichiarativa del suo fallimento. (385)

La disposizione è completata da quella del terzo e ultimo comma, dove viene precisato che in caso di recesso, il curatore deve restituire al cessionario il corrispettivo pagato al cedente per le suddetti trasferimenti. (386)

La norma letta in coordinamento con le altre disposizioni di cui si compone la legge, introduce una forma di opponibilità basata sull’assenza contemporanea delle circostanze elencate all’art. 7,1° comma successivo, come la conoscenza dello stato d’insolvenza da parte del curatore, l’esecuzione del pagamento nell’anno anteriore al fallimento e infine l’anteriorità del pagamento del corrispettivo rispetto alla scadenza del credito ceduto. (387)

Anche se questa disposizione normativa somiglia alla formulazione dell’art. 67,2° comma della legge fall., nel riferimento alla conoscenza dello stato di insolvenza e alla determinazione del periodo sospetto, essa non definisce un’azione revocatoria, ma si colloca su un piano diverso, mettendo un limite all’opponibilita della cessione di credito verso il fallimento del cedente, all’acquirente che abbia effettuato pagamenti: un limite cioè all’operatività del precedente articolo 5. (388)

Il recesso presuppone l’opponibilità della cessione al fallimento e infatti se la cessione non fosse opponibile, il curatore ne farebbe valere l’inefficacia proprio per questo, senza usare la facoltà di recesso, il cui esercizio crea l’obbligo di restituire il corrispettivo. (389)

La norma non sembra incidere sul contratto di factoring inteso come convenzione di base, ma soltanto sulle cessioni poste in essere in attuazione di quella convenzione. (390)

Le cessioni di cui si parla sono infatti quelle stipulate, cioè quelle perfezionate nella loro specifica struttura negoziale, anche se destinate ad avere effetto differito per le caratteristiche del loro oggetto.(391)

Al curatore è conferita una facoltà di scelta discrezionale, che egli potrà esprimere con il recesso, come manifestazione negoziale a forma libera e che in sede giudiziale potrà esercitare anche come eccezione, trattandosi comunque di un’atto dispositivo che è fuori dai poteri del difensore.

L’autorizzazione del giudice delegato, si dovrebbe richiedere sia nell’ipotesi di manifestazione del recesso, sia in quella della volontà contraria al recesso, poichè nell’uno e nell’altro caso, si verifica l’uscita del credito ceduto dalla massa.

Nel caso in cui il curatore rimanga inattivo, al factor dovrebbe essere consentito far fissare un termine, tramite il giudice delegato, mettendo in mora il curatore in maniera simile all’art. 72 l. fall., con il risultato che il silenzio equivarrebbe al recesso, con effetto definitivo e con rilevanza non solo interna al procedimento fallimentare. (392)



4.5     La crisi economica del cessionario.



Il fallimento del cessionario,il quale per espressa previsione della legge n. 52/1991, deve essere una società o un ente pubblico o privato avente personalità giuridica è abbastanza difficile, siccome l’esperienza ha dimostrato che le società di factoring sono emanazioni del settore bancario, per le quali sono previste una serie di prescrizioni e di controlli imposti dalla competente Autorità di vigilanza. (393)

Trattandosi di soggetti di ampia solvibilità, si deve considerare solo eventuale, l’ipotesi dell’apertura di una procedura concorsuale nei loro confronti, anche se non è possibile escluderla del tutto, dal momento che negli ultimi anni la grande diffusione di questa attività economica, ha convinto società estranee al settore creditizio, ad occuparsi di cessione di crediti d’impresa e di locazione finanziaria.

In caso di qualificazione del negozio in termini di vendita di crediti e se la sorte del contratto non dovesse coincidere con la prospettiva dello scioglimento, bisognerebbe distinguere le diverse ipotesi delle cessioni non ancora eseguite, da quelle attuate da entrambi i contraenti.

Nel primo caso ed in costanza del fallimento del factor, spetterebbe all’impresa cliente decidere se concludere la sua prestazione e porre il proprio credito per il prezzo nel passivo della procedura concorsuale. 

Altrimenti l’esecuzione del contratto rimarrebbe sospesa, fino a quando il curatore non dichiari di sostituirsi in luogo del fallito (art. 72,1°-2°comma l.fall.) e allora l’impresa cedente potrebbe chiedere una cauzione in base all’art. 73,1°comma della legge fall., a meno che il curatore non esegua subito il pagamento del prezzo con lo sconto dell’interesse legale. (394)

Invece per le cessioni di credito già compiute, delle quali il cedente sia ancora creditore del prezzo, si potrebbe ipotizzare l’insinuazione del cliente nel passivo del fallimento: ad esempio si tratterebbe di un credito condizionale, qualora la cessione sia stata pattuita con rivalsa del cessionario. (395)

Se il factor avesse versato anticipi a valere sul credito ceduto, il curatore potrebbe chiederne la dichiarazione d’inefficacia in base all’art. 65 l. fall., trattandosi di pagamenti di diritti che scadono successivamente alla dichiarazione di fallimento e che pertanto sarebbero recuperabili alla massa. (396)

Considerata prevalente la causa di cooperazione gestoria del factoring e ricondotto il contratto di base allo schema del mandato, alla convenzione verrebbe applicato l’art. 78 e sui crediti già trasferiti e non ancora incassati dal cessionario, i creditori del fallito non potrebbero far valere i propri diritti, se sia stata soddisfatta la condizione di cui all’art. 1707 c.c. (397)

Tuttavia questa tutela per l’impresa cliente, non sarebbe utilizzabile dove il contratto di base non fosse costituito in forma di scrittura avente data certa. (398)

A seguito dello scioglimento del negozio-quadro, anche il connesso contratto di finanziamento seguirebbe la sua sorte e le somme eventualmente erogate dall’imprenditore specializzato, potrebbero essere acquisite alla massa fallimentare, attraverso l’esercizio di una revocatoria ex art 67,2° l. fall.

Ricorrendo le condizioni previste nella precedente norma di legge, con lo stesso rimedio potrebbe revocarsi l’atto costitutivo della garanzia, relativa ai crediti ceduti al factorpro soluto” e che il fornitore potrà insinuare al passivo come crediti condizionali.

Qualificando il contratto come un mandato “in rem propriam”, il rapporto non cesserebbe per il fallimento del mandatario, in quanto i poteri a questo attribuiti anche nel suo interesse, farebbero parte del suo patrimonio.(399)

Però a favore del cedente sarebbe consentito l’esercizio del recesso per giusta causa e il curatore potrebbe ad esempio, incassare i crediti già acquistati e ottenere la commissioni e le altre spettanze pattuite in proprio favore. (400)



4.6    Il fallimento del debitore ceduto.



La legge n. 52/1991 ha stabilito un nuovo principio valido per le cessioni provviste di determinati requisiti soggettivi ed oggettivi.

La regola posta dall’art. 6 di questo testo normativo, ha previsto che il pagamento effettuato dal debitore ceduto al cessionario, non sia soggetto all’azione revocatoria, modificando così la costante prassi precedente, basata sull’art. 67,2° comma della l. fallimentare.

Questa disciplina è del tutto particolare nell’ambito delle disposizioni concorsuali, poiché stabilisce che l’azione revocatoria può essere proposta nei confronti del cedente, se il curatore prova che il cliente-fornitore era a conoscenza dello stato d’insolvenza del debitore ceduto, alla data di pagamento al cessionario. (401)

In caso di revocatoria dei pagamenti a favore dell’ufficio fallimentare del debitore ceduto, viene concessa l’azione di rivalsa del cedente nei confronti del cessionario che abbia rinunciato alla c.d. garanzia di solvenza. 

In definitiva l’art. 6, prescrivendo che l’ufficio concorsuale del debitore ceduto possa proporre l’azione revocatoria, non nei confronti del cessionario ma del cedente, indica come legittimato passivo un soggetto che potrebbe non aver ricevuto niente dal debitore, nel caso in cui il cessionario sia stato il destinatario reale del pagamento.(402)

Alcuni autori hanno individuato la logica della disposizione di legge, nella volontà di svantaggiare le cessioni di crediti di dubbia sicurezza, esponendo il cedente al rischio della revocatoria, in caso di fallimento del suo debitore. 

Inoltre il factor potrebbe agire verso il cliente, nell’ipotesi di revocatoria dei pagamenti ricevuti, in base alla garanzia della solvenza del debitore ceduto assunta dal cedente e che normativa dell’art. 4, prevede come effetto naturale della cessione del credito.(403)

Il presupposto dell’azione svolta contro il fornitore è la dimostrazione della conoscenza dell’insolvenza del debitore ceduto, da parte del cedente, alla data del pagamento al cessionario.

Tuttavia il principio affermato dalla norma è stato oggetto di numerose critiche, perchè l’esercizio dell’azione viene vietato nei confronti del cessionario che ha tutti gli strumenti per rendersi conto dello stato di insolvenza in cui versa il debitore e viene ammesso invece verso il cedente, che dopo la cessione non avrebbe ragioni per interessarsi del credito. (404)

La formulazione dell’art. 6 è stata anche contestata per la scelta di non distinguere tra i diversi pagamenti anomali e per la mancanza di precisazione dei periodi sospetti, ai fini dell’esperibilità della revocatoria fallimentare.(405)

Un’altro aspetto controverso, è legato all’oggetto dell’azione rivolta contro il cedente, poiché rimane dubbio se essa colpisca l’intero importo pagato dal debitore ceduto al factor o invece solo la somma ridotta riferita al cedente.(406)

La prima soluzione sembrerebbe giustificata nell’ambito della tutela da apprestare ai creditori, mentre la seconda sarebbe motivata dall’opposta prospettiva di tutela del cliente-fornitore.

Infatti in base all’art. 4 della legge n. 52/1991, il cedente risponde verso il cessionario, solo nei limiti del corrispettivo della cessione, ma in questo caso sarebbe esposto alla revocatoria per una somma superiore.

Ragionevolmente dovrebbe ammettersi l’azione del cedente in rivalsa nei confronti del cessionario, per l’eccedenza tra quanto ha dovuto corrispondere a causa della revocatoria e quanto era tenuto a versare in base alla garanzia.

Dal punto di vista delle disposizioni contrattuali, dovrebbe considerarsi nullo il patto diretto ad accollare al cedente questa maggiore responsabilità. (407)

La legge non contiene disposizioni esplicite, sulla possibilità che il cessionario possa insinuarsi al passivo della procedura concorsuale, per il recupero dei crediti cedutigli, prima della data di dichiarazione del fallimento.

Infatti il factor non riveste la qualifica di legittimato passivo per l’azione revocatoria, ma potrebbe comunque insinuarsi nella massa come creditore chirografario. (408)

Rimane controverso se il cedente che abbia subito la revocatoria, possa considerarsi creditore concorsuale rispetto al fallimento del debitore ceduto, in base all’art. 71 della l. fall., poichè il fornitore non è più creditore del fallito, avendo trasferito il diritto a favore del cessionario, verso cui d’altra parte, non ha più revocatoria per i crediti incassati.(409)

Nell’ipotesi negativa, il cedente potrebbe rivalersi solo con un’azione diretta contro l’impresa di factoring, realizzandosi in mancanza, un’indebito arricchimento del debitore ceduto. (410)

            Dunque il cedente dovrebbe essere ammesso al passivo, sulla base della considerazione che in fondo, il cliente-fornitore che paga il debito del cessionario adempie anche un’obbligazione verso quest’ultimo, per la garanzia che è tenuto a prestare, mentre se c’è stata rinuncia alla garanzia, questo significa che il factor ha voluto assumere su di se il rischio della solvenza del ceduto, assicurando così in questo modo il cedente. (411)


 

 

 


Tesi di Laurea: Il factoring e la cessione dei crediti d’impresa, Libera Università degli Studi di Urbino, Facoltà di Giurisprudenza, Anno Accademico 1999/2000, Candidato: Fabio Giovagnoli, Arcevia (AN), Relatore: Chiar.mo Prof. Antonio Nuzzo. Email: fabio.giovagnoli@libero.it.